Emergenza giovani: viaggio nell'universo infelice

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
09 aprile 2007 20:30
Emergenza giovani: viaggio nell'universo infelice

Da una recente inchiesta dell'Università di Firenze emerge un dato drammatico: la popolazione del capoluogo toscano fa uso di cocaina pari ai londinesi. E' allarmante e si tratta di un tassello di un'indagine di settore che da anni è eseguita con la cura del caso. Ricerca effettuata in laboratorio, che è l'ultima ma non la conclusiva di una lunga sequenza di sondaggi, ipotesi, dal solo e violento esito. Sembra, infatti, da quanto emerge, che le distanze geografiche si siano accorciate, che gli oceani, i bacini, le coste non dividano più etnie e popoli di diversa cultura.

Sembra che tutto si livelli, per ragioni storiche, ad un unico grande declino sociale e antropologico, ad un solo ed unico universo, ad un unico e drastico motore esistenziale: l'omologazione. A questo proposito proviamo a raccontare la vita quotidiana di quattro ragazzi narrata da loro stessi. La loro storia sembra costellata da miriadi di problemi, da delusioni, segnata da una quiete solo apparente, ma da una dramma continuo in cui loro, come gran parte della popolazione, è costretta a recitare un ruolo che non gli s'addice, un soggetto senza sceneggiatura.

Narrandoci la loro vita scopriamo la realtà cruda dei fatti, il vero squilibrio che viviamo quotidianamente. Un disagio economico, sociale, familiare che sembra giungere ad un unico epilogo.
La sera sta calando sui tetti delle case, sulle strade di Firenze, e i lampioni proiettano coni d'ombra violacei sull'asfalto. Giacomo, Rosy, Lorenzo e Caroline, (i nomi sono fittizi per questioni di privacy) i ragazzi protagonisti, come attori smessi di un dramma, la cui ambientazione è la quotidianità, sono in procinto di uscire con gli amici.

Giacomo, che lavora come portiere a tempo determinato in un Hotel del centro, è stanco. Reduce da una giornata di lavoro preferisce stendersi sul divano, abbandonarsi ad esso in un sonno leggero in balia di un abisso di interrogativi. A differenza di lui, Lorenzo, che è ancora studente universitario, nonostante sia sulla soglia dei trent'anni, preferisce passare la serata in un pub poco distante da casa, abbandonarsi da ogni problema tra i fumi dell'alcol e qualche sigaretta di troppo. Rosy non è a di meno, una sua amica di Borgo Panicale l'ha invitata - sostiene lei- ad una festa, ad un ritrovo di giovani che, magari, neppure si conoscono e che si ritrovano col pretesto di fare confusione.

Caroline, amica di un'amica di Rosy, un'indiana metropolitana, è consapevole cosa spetta loro al party. La vita di questi quattro ragazzi è a dir poco drammatica. Non è difficile considerare la loro generazione, ossia i nati tra il 1977 e il 1985, una generazione sfortunata. Una generazione che, a differenza dei padri e delle madri, degli zii e dei nonni: non ha più un alibi sul quale contare, e neppure un movente. I loro genitori, gli zii, sono stati figli dei fiori, hanno avuto il coraggio di sfidare una società e di scomporla, di disordinarla, insomma hanno condotto una battaglia politica e civile chiamata '68.

Rivoluzione che se pure ha dovuto pagare il prezzo di un ritorno all'ordine è pur sempre stata una rivoluzione. Ora, secondo i dati che emergono dalle agenzie addette, cosa c'è di differente tra le loro esistenze e quelle dei genitori? Niente: in entrambi i casi sono, o meglio rappresentano, i prototipi di due generazioni sfortunate. La sola differenza, abissale, non è il coraggio di battersi: è la mancata possibilità storica, il tentativo di appropriarsi di essa per poi fare pace. Secondo quanto ci riferisce Giacomo, suo padre alla sua età già lavorava, avendo acquisito il posto del genitore, presso un meccanico in Via delle Cento Stelle, a Coverciano.

Poco dopo i vent'anni si era sposato con la madre di Giacomo e assieme, nel'78, hanno messo al mondo lui. Continua a ripetere instancabilmente, quasi recitasse una parte concitata, con l'orgoglio di figlio che suo padre è stato un protagonista del '68, uno di quei tanti giovani che con fatica hanno cercato di costruire una società nuova: che adesso, purtroppo, è di nuovo scaduta, per non dire in declino. Una società da ricambiare in modo che permetta ai giovani di costruirsi un proprio perimetro d'azione, un orizzonte di vita.

Ma questo "purtroppo non è possibile. Sono mutati i tempi, sono decaduti certi presupposti che facevano da traino. Oggi ci dobbiamo a contentare di poco, della precarietà. In una sola parola, se dovessi fare un paragone tra me e mio padre, la vita mia e quella dei miei coetanei è molto diversa dalla loro, da quella dei nostri genitori. Una rivoluzione, ad essere sinceri, sì fa quando siamo consapevoli di vincerla, quando siamo forti economicamente, per quanto riguarda il lavoro e gli affetti, e non da nomadi quali invece siamo".

Ha ragione Giacomo quando pronuncia la parola nomadi. Il precariato del lavoro, che per altro non consente un futuro stabile, può fare solo dei lavoratori, dei giovani dei nomadi, degli erranti consapevoli di errare. Allo stesso modo, Lorenzo, che lo sì incontra al pub e il giorno dopo in facoltà, sostiene la stessa identica cosa. Alla domanda del perché a trent'anni si trovi ancora ad essere studente la risposta è determinata: "non c'è lavoro, o meglio stabilità, non saprei come costruirmi un futuro, quindi preferisco sbarcare il lunario da studente".


Rosy e Caroline sono alla festa. E' sera. Gli amici che le hanno invitate sembrano ballare in un frastuono di suoni scomposti, tra risate e fumi acri, tra birre e whisky, in una cascina poco fuori Firenze, sulle colline, sotto le cui ombre giace la città ai loro piedi. Una ressa di coetanei si raduna attorno al tavolo sul quale una ragazza si diletta, con volgarità spicciola, a spogliarsi cercando di sedurre qualcuno, forse troppi, da una seduzione senza ritorno. Rosy e Caroline non si conoscono, o meglio hanno fatto conoscenza quella sera, tra le luci sinistre di una festa finta, ipocrita, senza entusiasmo.

Caroline racconta a Rosy la sua vita di tutti i giorni. Le narra i mattini al lavoro, le serate consumate con la sua banda a comporre murales tra le mura dei sottopassi, tra le solitarie banchine ferroviarie dove riposano i treni, che lei colora, poco prima della loro partenza. La vita di Caroline sembra infatti una stazione ignota, una destinazione lontana, senza nome, dove persino i binari dell'anima sono arrugginiti e sui quali non sfrecciano più coincidenze o convogli. E' tardi. Rosy se ne va e ci confessa che al mattino deve recarsi lavoro.

Fa la parrucchiera in via Tornabuoni, nel salotto bene della città. " Lavoro par-time, il contratto mi scade a giugno. La festa? Non mi è piaciuta: troppo alcol, droga. Scusa ma adesso preferisco andare". Così è facile rimanere soli nel piazzale antistante la casa, nel buio, mentre ai nostri piedi giace una Firenze silenziosa, se pur di un silenzio apparente, che fa male. Droga? Certo, droga! Non ha riferito male, la ragazza. A Firenze, secondo i dati, gran parte della popolazione di giovanissimi si trovano a farne uso.

Abbondano, si suppone, certe sostanze in alcuni locali, nelle discoteche, tra di loro. Sostanze che probabilmente sono solo il frutto di una quiescenza generale, di un appiattimento storico, che abbondano essendo considerate una forma di comunicazione in un contesto dove è difficile comunicare. La sola comunicazione, oltre i pochi e frammentari attimi con gli amici al bar, è affidata ad internet, ai film riprodotti in dvd, agli sms che volano da un cellulare ad un altro in un ritmo frenetico da una sintassi sgarbata.

Ascoltando le storie di questi quattro ragazzi è facile accorgersi dell'abisso che c'è tra il mondo degli adulti e il loro. E'facile percepire questa distanza, il confine indefinito, l'incertezza d'ogni passo. Rosy vive male il suo tempo, e come lei Caroline, Giacomo, Lorenzo, e non perché è in dissidio con se stessa, ma perché la precarietà del lavoro, le storie che le raccontano le amiche la fanno stare male. Giacomo, Lorenzo, Rosy e Carolaine vivono il loro tempo con la speranza che qualcosa cambi.

Qualcosa che vada al di là delle fredde statistiche, degli esiti aritmetici, dei giorni passati a lavorare senza sapere cosa succederà il giorno dopo. Come narra una canzone di Luigi Tenco, che stranamente può far da titolo a questa indagine, questi ragazzi vivono un giorno dopo l'altro in seno ad una speranza che è diventata abitudine. Sono loro i precari del giorno, i netturbini di oggi, i centralinisti di domani, i facchini di qualche ipermercato per una remunerazione di pochi spiccioli. Sono loro il popolo del sabato sera, i protagonisti di Eccetera, l'ultimo romanzo di Emilio Tadini, che li ritrae un po' vittima un po' alieni in un contesto feroce, nel quale si cambiano di continuo le coincidenze, teatro di un nichilismo permanente la cui scenografia riflette i colori del loro universo infelice.

Le statistiche parlano chiaro: il 90 % della fascia giovanile è impiegata in lavori precari. Tuttavia, gran parte delle statistiche non sempre possono essere attendibili, almeno sotto il profilo pratico, perché molti aspetti sono occultati, molti dati sommersi. Sappiamo di certo che Firenze sniffa cocaina in quantità di dosi pari a Londra, e che quindi il paragone denota qualcosa di drammatico. Londra essendo una metropoli, stando alle statistiche, rispetto a Firenze, che invece è una piccola città di provincia, fa un uso di queste sostanza molto meno del capoluogo toscano.

Un uso che se prima era accessibile alla classe abbiente adesso, invece, sta dilagando. Abusare oggi equivale, secondo una logica perversa, allo stare insieme, diventa sinonimo di compagnia, un modo per allontanare dall'anima i problemi dei nostri giorni. Insomma, "basta uscire da casa per accorgersi del dramma"- sostiene Lorenzo. Certo, basta uscire di casa, aprire la porta alla strada per percepire il freddo interiore, gli echi sgarbati di una stagione storica che per forza dovrà mutare. Il portone del proprio condominio, della propria abitazione, spesso è come un sipario elegante che traccia il confine del proscenio e quello degli spettatori, che decreta l'inizio e la fine dello spettacolo.

Non sappiamo quanto sarebbe logico, come affermava Michele negli Indifferenti di Moravia, scoperchiare i tetti delle case per scoprire il dramma che spesso si nasconde tra le mura domestiche, ma questo consentirebbe di fare il punto della situazione. Spesso le tragedie hanno origini familiari. Su di un campione di dieci famiglie, oggi in Italia, solo tre riescono a svolgere una vita dignitosa. Spesso, nella maggior parte dei casi, chi ha figli giovani vive il dramma della precarizzazione, del senso di impotenza, della delusione, del patos - non più febbre, oramai- del sabato sera.

Come tiene a puntualizzare Lorenzo, "oggi più di ieri tra i giovani e i genitori vi è una distanza abissale, una discrepanza culturale che non si riesce a risolvere". Persiste un malessere, un'alienazione globale della quale è difficile vederne la fine. Insomma, dai dati che emergono e dalla realtà di fatto, l'età della catastrofe, come ha teorizzato Hobsbawm, si fa sentire. E' un vento pesante, inodore, la cui unica essenza ha la mole del piombo. L'analisi condotta dall'università di Firenze sugli escrementi umani che ha portato al drammatico esito non era di difficile previsione.

Basta, infatti, passeggiare di notte in certi quartieri della città per rendersene conto. Oramai i dati sono fin troppo esatti e l'unica cosa da fare è incentivare determinate campagne attraverso l'ausilio del giornalismo, mediante la cronaca. Ossia: scrivendo allo scopo di creare indagini su indagini. Solo il grado zero della scrittura, tanto per citare un noto filosofo, vale a dire la nitidezza della cronaca, può mettere a nudo certe discrepanze, può tentare di razionalizzare il grave declino dell'attuale stagione storica.

Un declino che va al di là delle ragioni politiche, che spesso assume ragioni esistenziali, strettamente legate alle vicissitudini sociali. Insomma, per vedere sorgere gli albori del XXI secolo, occorre intervenire con la speranza di creare un futuro sulle ceneri dell'attuale e squilibrato presente.

Iuri Lombardi

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