Alla Fattoria di Celle - Collezione Gori una mostra sulla figura di Mao Zedong, a 30 anni dalla sua morte, con le opere di artisti cinesi contemporanei

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
08 settembre 2006 12:54
Alla Fattoria di Celle - Collezione Gori una mostra sulla figura di Mao Zedong, a 30 anni dalla sua morte, con le opere di artisti cinesi contemporanei

La mostra dal titolo MAIMAO sarà presentata per la prima volta alla Fattoria di Celle-Collezione Gori, dal 9 al 23 settembre 2006 (spazio espositivo Casapeppe), in occasione delle Celebrazioni per i 30 anni dalla morte di Mao, avvenuta il 9 settembre 1976. L’esposizione proseguirà poi a Parigi presso l’Orangerie du Sénat, dove per il Senato francese sarà esposta dal 29 settembre al 5 ottobre, per la Festa Nazionale Cinese.

Realizzata tra Pechino e Shangai alla fine del 2005, l’esposizione, ideata da due giovani curatori, Lina Lopez e Giacomo Rambaldi, presenta i lavori di venti artisti cinesi contemporanei, selezionati tra più di cinquanta.

Artisti tra i più significativi della scena contemporanea cinese, alcuni più giovani e altri già affermati a livello internazionale, chiamati a dialogare su un periodo storico e su una figura come quella di Mao, che hanno influenzato l’arte cinese fino agli inizi degli anni Ottanta e i cui effetti possono essere avvertiti ancora oggi.

Ai venti artisti è stato chiesto di intervenire, a seconda della propria sensibilità e del proprio vissuto, su una fotografia in bianco e nero che ritrae una statua in ceramica bianca del presidente.

Un’icona che, come una tela bianca, lasciasse agli artisti la massima libertà di espressione. In mostra venti opere di Cao Yang, Chang Neng, Chen Guang, Chen Lian Qing, i Gao Brothers, Gao Negli, Gu Cheng, Ji Dong, Ji Juan, Jinhu Chen, Li Sa, Li Yan, Lu Xiao, Luo Yong Jin, Pan Du, Pu Jie, Xiao Peng, Yang Shen, Ye Fu e Zhang Qikai.

Negli ultimi 30 anni, la Cina è stata protagonista di una grande trasformazione che nel campo della produzione artistica si è tradotta in un lento abbandono delle restrizioni imposte dal regime comunista.

Restrizioni che iniziano già nel 1942, al forum sull’arte e la letteratura nello Yun’an, dove vengono definiti i principi e le regole a cui ogni artista deve attenersi: “la produzione artistica deve essere solo ed esclusivamente a servizio dello stato e gli artisti a servizio delle masse”. Negli anni della rivoluzione culturale (1966-1976) la soppressione di ogni espressione artistica è tale che l’unico oggetto rappresentabile è la propaganda della rivoluzione con l’effigie del Grande Timoniere.

Centinaia di migliaia di ritratti del presidente vengono allora dipinti, scolpiti, stampati ed esposti in luoghi pubblici e privati. Dopo la morte di Mao, la rinascita della produzione artistica riparte proprio dalla sua immagine, dando vita ad una nuova interpretazione del suo ritratto.

La mostra odierna nasce con l’intento di analizzare questo argomento, tuttora estremamente attuale in Cina, affidando ad artisti di generazioni differenti il compito di delineare il legame che unisce la storia alla contemporaneità.

La condanna della rivoluzione culturale, l’immortalità della figura di Mao, il forte mutamento della Cina contemporanea e il rifiuto del consumismo sono i temi principali che emergono dai lavori in mostra.

Mao è l’immortale leader comunista o il simbolo di un mondo che lentamente scompare di fronte alla Cina moderna.
Da un lato, dunque, queste opere sono la risposta diretta ad una politica di censura e di disapprovazione di ogni forma di arte e letteratura, dall’altro un’esperienza che evidenzia la consapevolezza del forte mutamento sociale ed economico in atto in Cina: una consapevolezza che diventa critica nei confronti di un sistema che ha abbandonato gli ideali comunisti a favore di una società basata sul capitalismo e la produzione di massa.

La trasformazione della Cina contemporanea si ritrova nel lavoro di alcuni artisti come Jin Juan, Lu Xiao, Zhang Qikai.

Quest’ultimo sommerge l’immagine di Mao, fino a quasi farlo scomparire, con decine di piccole bambole di plastica: è il mondo del consumismo che cancella quello del comunismo. La condanna alla rivoluzione culturale è evidente nei lavori di Chen Lian Qing, Ye Fu e Cao Yang che fa riferimento ai libri bruciati in quegli anni e allo stesso tempo lascia emergere in trasparenza l’immagine di Mao, come traccia indelebile della storia cinese.
L’immortalità del presidente è rappresentata da Chang Neng come un’anima in bianco e nero che sopravvive all’escoriazione e alla morte del corpo.

Cheng Neng e Pan Du riprendono il concetto dello scorrere del tempo: il primo rappresentando tre momenti, la vita, la morte e il dopo Mao, quando il presidente diventa una statuetta imballata e venduta ai turisti; il secondo accostando una tela blu ed una rossa (la prima riferita alle giacche blu della rivoluzione, la seconda al colore che più di ogni la rappresenta) e lasciando che il corpo di Mao sia solo una traccia bruciata.
Altro tema ricorrente è la trasfigurazione di Mao, come si osserva nei lavori di Gu Cheng, Pu jie et Luo Yong Jin.

Artisti come Jinhu Chen et Ji Dong utilizzano tecniche più tradizionali come la calligrafia e l’inchiostro su carta di riso.

In occasione della mostra MAIMAO sarà pubblicato un catalogo a cura dell’editore Gli Ori arte contemporanea, con testi critici di Lina Lopez e Giacomo Rambaldi; Jean-Pierre Remy (critico, presidente dell'anno della Cina in Francia, ex-direttore della Villa Medici a Roma); Liu Guopeng (professore di sociologia all'Università di Pechino) e Pia Cooper (critica di arte contemporanea cinese per la Galleria Artcurial di Parigi).

Sempre nello spazio espositivo di Casapeppe, oltre alla mostra MAIMAO, sarà possibile vedere alcune opere di Tony Cragg, Sol LeWitt, Menashe Kadishman e Robert Morris.
All’interno, i “Feltri” di Morris (1982) e la straordinaria serie di quindici pitture murali di Sol LeWitt “Pencil Lines in Four Directions and All of Their Combinations on Black Squares” (2004).

All’esterno, LeWitt con la scultura “1-2.3-2-1”, Menashe Kadishman con l’installazione “Pecore e pecore” e Tony Cragg.

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