Percorso per una legge regionale sulla partecipazione: il resoconto degli interventi dell'assemblea del 13 gennaio scorso

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
03 febbraio 2006 18:16
Percorso per una legge regionale sulla partecipazione: il resoconto degli interventi dell'assemblea del 13 gennaio scorso

Verso una legge regionale della partecipazione era il titolo dell'incontro che ha avuto luogo all'Auditorium del Consiglio Regionale, il 13 Gennaio 2006. Si trattava della prima assemblea pubblica di avvio del percorso partecipato di costruzione di una proposta di legge regionale toscana sulla partecipazione. Di seguito il resoconto degli interventi che si sono avuti nel corso dell'assemblea. La sintesi è stata curata dalla Rete Nuovo Municipio.


Manuele Braghero
Responsabile dell’Ufficio di segreteria dell’assessore alle Riforme Istituzionali, al rapporto con gli enti locali e alla partecipazione dei cittadini Agostino Fragai
Introduce l’assemblea spiegandone motivazioni e obiettivi e illustra il contenuto della cartellina distribuita ai partecipanti: documento preparatorio dell’assemblea a cura della Regione e della Rete del Nuovo Municipio, documento redatto dall’Ufficio e Osservatorio Elettorale regionale, la scheda di descrizione dell’esperienza da riempire a cura dei partecipanti all’assemblea, la scheda per votare il logo che accompagnerà le diverse iniziative previste durante il percorso di costruzione partecipata della proposta di legge regionale toscana sulla partecipazione.
Presenta inoltre la presidenza dell’assemblea composta da: Claudio Martini, presidente della Regione Toscana; prof.

Luigi Bobbio dell’Università di Torino; Agostino Fragai, assessore alle Riforme Istituzionali, al rapporto con gli enti locali e alla partecipazione dei cittadini; Alberto Magnaghi, presidente dell’Associazione Rete del Nuovo Municipio; Iolanda Romano, esperta di processi decisionali inclusivi, che avrà il compito di facilitare i lavori dell’assemblea.

Agostino Fragai
Assessore alle Riforme Istituzionali, al rapporto con gli Enti Locali e alla partecipazione dei cittadini
Vorrei aprire i lavori dell’assemblea illustrando i motivi per cui si parla di partecipazione, di una specifica legge a livello regionale e le ragioni politiche di fondo che stanno alla base di questa scelta.

Lascio l’illustrazione del percorso di costruzione della legge e dei contenuti del documento preparatorio ad Alberto Magnaghi.
La legge fa parte del programma di governo del presidente Martini e del centro sinistra in Regione e affronta il problema della crisi della rappresentanza che investe oggi non solo tutti i soggetti sociali e politici, ma anche i partiti. Tale crisi è dovuta a molti fattori e presenta degli elementi comuni all’intera società europea (crollo delle ideologie, crisi di rappresentanza dei grandi partiti di massa, frammentazione sociale, ecc.).

In Italia, dopo la vicenda di Mani Pulite, la crisi, che ha tratto origine dall’instabilità politica, ottiene una prima risposta nel ’93, con l’introduzione dell’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle Province, estesa in seguito nel ’99 all’elezione diretta del presidente delle Regioni, in cui assumono ruolo primario i programmi elettorali. Ma la crisi non è stata superata e gli istituti democratici presentano ancora alcune ombre: la grave situazione delle assemblee elettive e i vuoti che si sono creati, intesi come spazi di democrazia da costruire, la molteplicità di interessi che interagiscono in modo non sempre trasparente, e così via.

Le istituzioni funzionano se coloro che esercitano il mandato, cioè gli eletti, riescono a stabilire una comunicazione permanente con i cittadini, lungo l’intero arco della legislatura. La ‘democrazia di mandato’ affida nelle mani di pochi i compiti di governo, e la domanda di confronto permanente proviene anche dai sindaci, che riconoscono il limite di questo modello.
Affrontare la crisi della democrazia e dei partiti e riconoscere la necessità di riforme è compito a cui il governo regionale non si può sottrarre, nel tentativo di esercitare pienamente i nuovi poteri derivanti da titolo V della Costituzione, che assegna autonomia nella definizione del modello elettorale, della forma di governo, dell’architettura statutaria.

Il nostro Statuto regionale dà spazio ai temi della partecipazione, della sussidiarietà e delle autonomie locali. Di fronte al potere crescente dei soggetti economici privati e della comunicazione di massa, la Regione Toscana riconosce i suoi limiti d’azione, ma vuole fare la sua parte. Nella scorsa legislatura abbiamo approvato la legge per le primarie nella selezione dei candidati alla presidenza della Regione e del Consiglio Regionale, legge guardata con molto interesse anche dall’estero.


Con l’assemblea di oggi parte un lavoro il cui esito sarà determinato dal confronto con la società toscana. Il metodo stesso che abbiamo deciso di adottare per giungere alla definizione della legge potrà essere un possibile modello, da riproporre in altre occasioni per argomenti anche diversi. La Regione guarda alla partecipazione come ad un pensiero forte, non solo più inclusivo e democratico, ma anche più efficace e tempestivo nel raggiungimento degli obiettivi. Scommettiamo sulla maturità della società, sul senso civico dei cittadini e sul loro patrimonio di conoscenza e professionalità.

Promuovere processi, strumenti e istituti di partecipazione non significa togliere responsabilità alla politica, ma mettere in pratica la volontà di distribuirla, in modo che l’amministratore, il politico e il singolo cittadino si impegnino reciprocamente su obiettivi condivisi. Vogliamo incidere davvero sui processi democratici, proponendo un incontro fecondo tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa. Sosteniamo un federalismo cooperativo, messo a rischio anche dalla nuova riforma della Costituzione, che vale nei confronti del governo centrale, ma anche nella relazione tra Regioni e Comuni.

Siamo consapevoli del ruolo insostituibile dei Comuni nel favorire un’evoluzione positiva del rapporto tra istituzioni e cittadini. Il contributo dei Consigli Comunali, della Giunta e dei sindaci è un fattore fondamentale per l’implementazione dei processi partecipativi all’interno dei processi decisionali che riguardano le politiche pubbliche locali. Ci aspettiamo inoltre un contributo non timido dalle forze economiche e sociali organizzate. Alcune di queste dovrebbero avere a cuore l’inserimento nei processi decisionali dei soggetti più deboli.

Spingere verso una società più aperta e responsabile impone a tutti di rinunciare a un po’ di ‘rendita di posizione’ e di aprirsi ad una collaborazione costruttiva con gli altri attori. La democrazia toscana è ancora forte, per questo possiamo spingerci a cercare un modello di governo più partecipato ed efficiente.

Alberto Magnaghi
Presidente dell’Associazione Rete Nuovo Municipio
Il percorso nasce circa un anno fa, quando il presidente Martini lanciò l’ipotesi della legge, accolta con molto interesse dalla Rete del Nuovo Municipio.

Il lavoro di riflessione e il dibattito sulla proposta di legge inizia con un convegno (marzo 2005), per proseguire poi, nei mesi successivi, all’interno degli uffici regionali. Tale percorso ha portato al concretizzarsi della volontà di sperimentare un processo partecipativo di costruzione della legge e l’assemblea di oggi è un punto di partenza di un lavoro che durerà circa un anno. Questo processo sarà osservato con molto interesse da altre regioni e dall’Unione Europea, perché la Toscana è considerata all’avanguardia per diverse cose (es.

la legge n. 1/2005 in materia di governo del territorio e l’opposizione alla legge urbanistica Lupi). Le ‘vie della partecipazione’ è un bel titolo (al plurale) evocatore delle vie dei canti di Chatwin, il percorso poetico dell’identità del territorio degli aborigeni australiani, ma forse ricorda anche le vie alternative alle autostrade della colonizzazione romana, descritte da Augusto Maggiani nella resistenza degli Apui alla costruzione dell’Aurelia nel romanzo ‘Il coraggio del pettirosso’, e forse le vie alternative al Corridoio Cinque, proposte dagli ‘Apui postmoderni’ della Val di Susa, dove si può parlare di vie compiute della partecipazione, con sindaci e popolo finalmente insieme, in un progetto di futuro condiviso.
Qual è l’utilità di una legge sulla partecipazione? Ci sono molto perplessità in merito e occorre riflettere sul fatto che una legge può essere, al limite, pericolosa, perché rischia di imbrigliare la ricchezza delle esperienze in un quadro rigido di codici e norme che potrebbero neutralizzarne i contenuti più sperimentali e innovativi, riducendo la complessità delle pratiche che si declinano in maniera molteplice e differenziata sul territorio.

D’altro canto si ritiene che pensare alla stesura di una legge e giungervi attraverso un percorso partecipato con i cittadini toscani può essere utile fin da oggi, perché può far emergere e scatenare energie conflittuali e costruttive. È un percorso di autoriconoscimento della società toscana (un nosce te ipsum) che attiva le sue energie innovative nel riflettere sulla sua identità e il suo protagonismo nel definire collettivamente il proprio futuro. Potrebbe configurarsi come il primo, esemplare ‘statuto del territorio’ della legge 1/2005 sul governo del territorio, scritto dai partecipanti a questo percorso, fondativo insieme delle nuove forme di democrazia e del nuovo modello di sviluppo che ne scaturirà.

Democrazia partecipativa e trasformazione degli obiettivi di sviluppo sono inscindibili, perché gli orientamenti e le scelte cambiano in funzione di chi siede ai tavoli di decisione. Dare la parola alla società toscana significa riorientare lo sviluppo regionale, riconoscere e valorizzare i giacimenti patrimoniali della Toscana delle toscane - come recitano i piani di sviluppo della Regione - produttori di ricchezza durevole (patrimoni ambientali e territoriali, artistici, produttivi, ma soprattutto identitari e culturali).

Inoltre questa legge può essere utile se:
- accoglie con forza le Direttive Comunitarie in materia di partecipazione e aderisce alle Carte Internazionali che impegnano a creare istituti locali per la partecipazione, fornendo aiuti tecnici e finanziari per l’attuazione dei processi;
- crea nuove culture di governo regionale, estendendo in prospettiva al complesso delle attività legislative il metodo di costruzione di questa legge;
- attiva forme di bilancio sociale, economico e ambientale (integrati in un bilancio di sostenibilità) per le politiche e i piani regionali;
- sviluppa il ruolo e le funzioni del Consiglio delle Autonomie Locali nell’attività legislativa della Regione, in rapporto attivo con il Consiglio Regionale, dalle fasi programmatiche alle definizioni degli articolati di legge, verso forme di federalismo municipale (Parlamento della Toscana? Camera dei Comuni? Sistema di governance a rete delle autonomie locali?);
- introduce nel processo partecipativo locale temi di valenza generale per la sostenibilità globale: produzione energetica locale, alleanze per il clima, smilitarizzazione dei territori, riduzione dell’impronta ecologica, nuovi indicatori di benessere per le politiche locali, ecc;
- favorisce e incentiva la formazione e la diffusione degli istituti partecipativi a livello dei Comuni, dei Circondari e delle Province come forma ordinaria di governo (usando una felice espressione del presidente Martini), riguardante tutti i settori dell’amministrazione in forme integrate.
Questi sono, a mio avviso, i caratteri di utilità della legge, che deve sostenere, incentivare e attivare nuovi processi partecipativi allo scopo di valorizzarli senza ingabbiarli.

Ma l’utilità della legge è subordinata all’utilità dei processi partecipativi. Un noto economista, Giacomo Becattini, scrive ‘l’economia politica dovrebbe essere ripensata come studio del processo di produzione del benessere, nella produzione e nel consumo, nei luoghi dove vive l’uomo: il municipio dovrebbe avere come fine il benessere dei cittadini’. Questa frase può sembrare banale, ma non sempre l’amministrazione pubblica ha questo fine, soprattutto in un’epoca in cui l’amministrazione locale è sempre più dipendente dai poteri forti, ha sempre meno autonomia economica ed è costretta a ‘fare cassa’ vendendo beni demaniali e producendo nuovo consumo di suolo (oneri di urbanizzazione, ICI).

Un problema fondamentale del processo partecipativo è che esiste ancora l’idea, anche nella sinistra, che cedere potere alla società da parte della politica significa perdere prerogative date dal popolo attraverso le elezioni, e non, come noi pensiamo, rafforzare le possibilità di autogoverno locale rispetto ai poteri esogeni che condizionano le scelte dei Comuni.
Il percorso di costruzione della legge che si articolerà per tutto il 2006 si compone di tre fasi:
- fase di ascolto e ricognizione delle realtà esistenti per far emergere ciò che già vive nella società locale, per codificare uno stato nascente che già esprime partecipazione in Toscana, sia a livello istituzionale sia a livello di associazioni e cittadini autoorganizzati; attivazione di un sito internet e organizzazione di assemblee decentrate, perché in assemblee generali come questa, di scala regionale, non tutti possono intervenire e non si può esprimere tutta la ricchezza e complessità delle diverse situazioni territoriali;
- fase più sperimentale in cui saranno attivati dei laboratori territoriali a livello comunale o intercomunale, in luoghi che individueremo insieme, per verificare alcuni assunti utili per la costruzione della legge, che saranno emersi nel frattempo;
- sintesi del percorso fatto che dovrebbe confluire in un disegno di legge.
Occorre fare uno sforzo per rendere complementari e interagenti i 3 livelli intorno a cui si articola il percorso partecipativo:
- integrare democrazia partecipativa e democrazia delegata, che è un obiettivo politico e culturale, ma anche operativo;
- rendere coerenti, e non conflittuali, concertazione e partecipazione, per superare il modello decisionale, abbastanza allargato ma di tipo consociativo, che caratterizza le pratiche negoziali in Toscana (Coop, banche, immobiliari, ecc.);
- attivare istituti di democrazia partecipativa.


Dovremmo cercare di far convergere gli interessi dei cittadini con questi processi d’innovazione della politica, facendo della partecipazione una forma ordinaria di governo. Per questo occorre:
- che l’istituto partecipativo sia articolabile, organizzabile ad hoc su specifici momenti di conflitto (arene deliberative) a termine, anche variando la composizione degli attori per i singoli progetti, ma senza perdere l’unitarietà complessiva del processo;
- che l’amministrazione locale istituisca a questo fine un’agorà unitaria di partecipazione strutturata, che abbia carattere continuativo per tutte le fasi del processo decisionale;
- che sia inclusa negli statuti comunali la scelta di attivare nuove forme di democrazia partecipata come regola permanente di governo (costituenti partecipative), che registrino e includano le associazioni che operano sul territorio, che consentano, pareri, interrogazioni, proposte di delibere a gruppi di cittadini, referendum, ecc.;
- che la partecipazione non sia una pratica defatigante che riguarda questioni marginali (anche il bilancio partecipativo sulle spese d’investimento dei Comuni corre questo rischio, in una fase di forte taglio alle disponibilità di bilancio), ma che affronti a tutto campo le trasformazioni del modello locale di sviluppo verso scenari di futuro socialmente condivisi;
- che sia offerta ai partecipanti l’occasione di intervenire su una politica ancora da definirsi, non chiamandoli a risolvere i conflitti nell’applicare una politica già pre-definita;
- che sia data ai cittadini la possibilità di essere protagonisti, pur essendovi la necessità di strutturare i processi di partecipazione, dando ad essi regole di funzionamento e tempi certi di lavoro; è opportuno che gli attori ‘iniziatori del processo’ si assumano soltanto il compito di garanti del percorso di partecipazione e delle sue modalità di svolgimento;
- che siano assegnate risorse specifiche ai processi partecipativi.

Perché i progetti potenziali generatori di conflitti costano generalmente cifre rilevanti, mentre coloro che partecipano e fanno partecipare sono retribuiti nulla, i primi, e molto poco i secondi;
- che sia riconosciuta pari dignità alle diverse forme di conoscenza presenti sul territorio, creando modalità d’interazione non gerarchica tra saperi esperti e saperi comuni. Spesso le conoscenze esperte ‘fanno paura’ ai cittadini, allontanano dalla partecipazione e ‘nascondono’; quindi occorre mettere insieme e dare piena agibilità alle diverse competenze, valorizzando le narrazioni collettive nelle quali siano ricondotte a senso comune, rese comprensibili e capaci di interloquire fra loro, conoscenze esperte e conoscenze di contesto;
- che l’istituto partecipativo privilegi gli attori sociali deboli, o comunque sottorappresentati nei processi di concertazione ufficiali, estendendo i diritti di cittadinanza.

Iolanda Romano
Questa proposta di legge sulla partecipazione è un’esperienza unica, per il momento, in Italia.

Quest’assemblea d’avvio del percorso di costruzione della legge vede una partecipazione numerosa e attenta. Il mio compito è di aiutare a far emergere dal dibattito considerazioni e elementi di apprendimento per finalizzare gli interventi alla costruzione della legge, mettendo a fuoco i nodi fondamentali che emergono da questo primo incontro pubblico. I momenti d’interazione devono essere fortemente strutturati. Oggi ci limiteremo all’ascolto, perché dato il gran numero di presenze e interventi previsti non è possibile fare vera interazione, ma dobbiamo finalizzare i contenuti che emergono alla stesura dell’articolato di legge, suggerendo ciò che dovrà contenere e cosa no.

Cerchiamo di finalizzare gli interventi specificando fattori critici e priorità, non solo per la legge, ma anche per il processo della sua costruzione. Quest’assemblea non è un momento di consultazione, ma l’avvio di un processo partecipativo. Cercheremo, nell’organizzare la scaletta degli interventi, di alternare ruoli e argomenti per rendere più vivace la sequenza delle esposizioni.


Girolamo dell’Olio
Presidente dell’Associazione di Volontariato Idra
Devo iniziare il mio intervento con un’osservazione critica: non si possono fare incontri come questo, sulla partecipazione, durante gli orari di lavoro, perché in questo modo si escludono a priori ampie fette di popolazione che potrebbero essere interessate a partecipare.
Io ho partecipato con grande frustrazione, per conto della mia associazione, ai Forum del Piano Strutturale di Firenze, che mi sono sembrati inutili.

Dovremmo capire poi quanto costano questi Forum; basti pensare che i facilitatori non sono stati nominati con bando pubblico, ma in base all’appartenenza politica. La partecipazione è una cosa molto semplice e parlarne in questo modo è accademia, costosa accademia. Per noi promuovere la partecipazione vuol dire informare, saper ascoltare, consultare, verificare, portare documentazione, cioè il contrario di quello che è successo nei Forum di Firenze, dove non venivano mostrate le carte urbanistiche e i progetti che decidono della vivibilità della città.
Prima di preoccuparsi di fare una legge bisogna dimostrare di saper praticare la partecipazione, senza ricorrere ad esperti e a linguaggi specialistici.

In più a me sembra che continuiamo a subire una volontà di fare partecipazione su progetti già decisi (es. la chiusura del giardino di Boboli a Firenze, è stata decisa prima che i fiorentini ne abbiamo avuto notizia). Per non parlare poi di una grande opera, strategica, che è anche un modello culturale: l’Alta Velocità, che ha rappresentato in Toscana la ‘prova provata’ e continua di nessuna possibilità di dialogo tra istituzioni e cittadini. Parlare di partecipazione è veramente troppo, perché non c’è neanche informazione, confronto o dibattito, possibilità di valutare situazioni alternative che possono essere discusse.

Abbiamo cercato di porre al presidente Martini molte domande, ma non ci ha mai voluto incontrare. Una sola volta siamo riusciti a parlargli, per pochi minuti, e ci ha chiesto di fornirgli documentazione di quello che dicevamo. Forse abbiamo documentato troppo, perché il presidente Martini non ci ha più risposto. Le domande fatte a Martini in merito alla Tav sono rimaste senza risposta. L’unica informazione che passa in questa Regione è pubblicità e propaganda sovietico-berlusconiana. Non a caso i grandi accordi strategici vedono concordi centrodestra e centrosinistra a livello nazionale.

In Toscana, sulla Tav, non c’è stato un confronto su ipotesi progettuali alternative, i pareri tecnici della Regione Toscana sono stati ignorati, non sono state coinvolte istituzioni importanti come l’Azienda Sanitaria e i Comuni, si sono confusi i ruoli tra controllori e controllati: coloro che hanno approvato l’opera erano le stesse persone che componevano l’Osservatorio Ambientale. Si fanno Variante di Valico e Alta Velocità insieme, quando un documento della Giunta definisce politica non accettabile bandire due grandi progetti che si escludono a vicenda (trasporto su gomma o su rotaia); i SIC (Siti di Interesse Comunitario) definiti dalla Regione, sono stati stravolti (sorgenti e torrenti prosciugati).

La Regione Toscana prima si costituisce parte civile e poi Martini dichiara che si tratta di un’opera modello e che Cavet si è comportata in maniera esemplare (e i contratti dei lavoratori? Il tunnel di servizio che manca di 60 km? La levitazione spaventosa dei costi?). Non è corretto per un’amministrazione regionale far finta che questi problemi non ci siano.
Noi come Idra continueremo ad essere presenti sul territorio, per mostrare quelle che ci sembrano delle contraddizioni non più accettabili.



Iolanda Romano
Questo primo intervento, come diceva l’assessore, dimostra che ci sono molte competenze diffuse nella società toscana.

Stefano Mazzoni
Presidente dell’Associazione Montespertoli per l’Ambiente e il Territorio (AMAT)
L’associazione AMAT, iscritta alla Rete del Nuovo Municipio, nasce nel giugno del 2005 da un comitato spontaneo sorto alcuni mesi prima per opporsi alla realizzazione di un’area mineraria per l’estrazione dell’anidride carbonica.

Il progetto era partito nel 2002 nel massimo silenzio e senza la partecipazione della popolazione, nonostante l’attivazione della procedura di Valutazione d’Impatto Ambientale regionale. Da allora, il comitato prima e l’associazione adesso, hanno dovuto occuparsi, oltre che di questa problematica, del raddoppio della discarica, proposto come un banale completamento di volumi residui; speriamo poi di poter parlare del Piano Strutturale e del parco pubblico di Sonnino, realizzato alle porte del paese come spazio multifunzionale per i cittadini, che ha ricevuto scarso apprezzamento per l’impossibilità di utilizzarlo.

Altre informazioni sull’AMAT si trovano nel sito web: www.amat-montespertoli.it.
L’esperienza di questo periodo di attività ha messo in evidenza un’amministrazione comunale tesa ad attuare progetti senza alcun coinvolgimento dei cittadini e spesso senza evidenti convenienze, come nel caso dell’area mineraria. Ci auguriamo, a breve, di poter instaurare, con almeno una parte dell’amministrazione, un rapporto di collaborazione che ci consenta di contribuire in modo positivo alle scelte e che non ci costringa a rincorrere progetti già eseguiti o in corso di realizzazione.

Non è più accettabile sentirsi rispondere: ‘sono stato eletto quindi ho il diritto di fare ciò che ritengo più opportuno’, perché le legislature passano, mentre le scelte fatte su ambiente e territorio hanno effetti per periodi molto lunghi. I cittadini intendono partecipare in modo attivo e consapevole alle scelte, pretendono di essere informati, e gli amministratori devono rispondere alle richieste di chiarimento e motivare le loro decisioni. Purtroppo siamo ancora lontani da una visione ‘illuminata’ della gestione del territorio e un’associazione come la nostra è ancora interpretata come spina nel fianco da chi deve governare, invece di essere vista, in quanto struttura apartitica e trasversale, come risorsa umana ed intellettuale da valorizzare nell’interesse della collettività.

In un recente articolo uscito su un settimanale, l’assessore alla Partecipazione Attiva del Comune di Montespertoli afferma che l’amministrazione comunale (a un anno e mezzo dall’inizio del mandato) non ha ancora capito il significato della partecipazione. Sulla base della nostra modesta esperienza, vogliamo suggerire alcuni ingredienti ‘base’ senza i quali il ‘piatto’ della partecipazione attiva non può essere preparato:
- riconoscimento giuridico con procedimento semplificato per le associazioni che si occupano di tutela di beni comuni;
- disponibilità di locali pubblici, con facilitazioni sia burocratiche che economiche, per l’utilizzazione dei locali dell’amministrazione, per assemblee, riunioni e dibattiti;
- trasparenza dei procedimenti con accesso immediato e informale per la visione degli interi fascicoli, garantito in deroga ad ogni possibile Regolamento Comunale, con possibilità di avere copia di eventuali documenti in tempi tecnici ragionevoli.

Accesso in tempi utili alle informazioni e agli atti senza i filtri del sindaco o del segretario comunale di turno;
- volontà di dialogo e volontà di collaborare, ovvero ammettere che possano esistere alternative e che possono avere dignità operativa;
- no alla micro-delega elettiva che significa non ingessare la volontà di partecipazione dei cittadini all’interno di strutture di micro-delega (vedi Consigli di Frazione) che costituiscono solo una brutta copia, in piccolo, dei Consigli Comunali;
- risoluzione immediata di impedimenti di accesso agli atti da parte del segretario comunale o del difensore civico, con obbligo di motivazione scritta da parte dell’ufficio che non consente l’accesso;
- riconoscimento nel Consiglio Comunale per poter far votare il Consiglio su proposte, mozioni o interrogazioni provenienti anche dai cittadini organizzati in associazioni o comitati, con esposizioni senza limiti di tempo (attualmente il limite per i consiglieri a Montespertoli è di 3 minuti, qualsiasi sia la problematica e l’importanza della stessa).

Iolanda Romano
Iniziano a profilarsi molti temi e alcune proposte.

Renato Peloso
Presidente della Circoscrizione 3 del Comune di Arezzo
Vi parlerò della nostra esperienza di Bilancio Partecipativo.

La prima parte del nostro progetto ha dimostrato che una legge serve per dare fiato e gambe alla partecipazione. La politica è in un momento di crisi, anche ad Arezzo hanno arrestato, pochi giorni fa, tre consiglieri della maggioranza di centro destra. Per fortuna la Circoscrizione che presiedo è in mano all’Unione (forse per questo la nostra esperienza di partecipazione ha suscitato scarso interesse nel sindaco).
La Circoscrizione 3 ha 28 mila abitanti, quasi un terzo dell’intero comune, divisa tra città e frazioni di campagna.

Dopo una prima fase di studio e approfondimento è iniziata la fase di partecipazione, progettata in collaborazione con alcuni abitanti della circoscrizione appartenenti al Forum Sociale di Arezzo. In un mese abbiamo organizzato ben 11 assemblee sul territorio, anche in luoghi insoliti come parchi e giardini, per comunicare alla popolazione la volontà di fare il Bilancio Partecipativo della Circoscrizione. Abbiamo raccolto le proposte dei cittadini su argomenti importanti, stabilite e votate le priorità e nominati i testimoni privilegiati (rappresentanti) delle assemblee.

Alla fine di questo percorso possiamo dire che noi politici abbiamo fatto un importante passo indietro nel nostro modo di rapportarci ai cittadini e abbiamo costruito una Delibera di Programma per il 2006 scritta, per la prima volta, dai cittadini. I bilanci di circoscrizione sono esigui, ma a dicembre 2005 abbiamo deliberato lo stanziamento di circa 110 mila euro per i progetti proposti dagli abitanti nelle assemblee. I cittadini hanno accolto con molto favore la nostra proposta di partecipazione, sia per il suo carattere innovativo, sia per lo sforzo dimostrato nel riavvicinare la politica alla società.

Non ci possiamo, però, nascondere quelli che sono stati i limiti e le difficoltà incontrate, che riguardano soprattutto l’informazione su che cosa è un bilancio partecipato (nessuno lo sapeva), per la convocazione delle assemblee, ecc. Limiti che abbiamo cercato di superare con conferenze e comunicati stampa, documenti, manifesti e volantini.
In generale valutiamo la nostra esperienza in maniera positiva, perché si tratta di un progetto innovativo di vita politica e umana rispetto al quale non siamo disposti a tornare indietro.

Concludo con due piccoli esempi sulla partecipazione, uno positivo, che riguarda la Circoscrizione 3, e uno negativo, che riguarda il Comune di Arezzo. Quello positivo è che domani consegneremo ai volontari della ASL di Arezzo 600 euro raccolti con le feste paesane che si sono svolte sul nostro territorio. Quello negativo è che il Comune di Arezzo ha avuto parere negativo sulla richiesta di finanziamento per un Contratto di Quartiere, perché il progetto presentato era stato redatto senza la partecipazione dei cittadini.

Annalisa Pecoriello
Ricercatrice del Laboratorio di Progettazione Ecologica degli Insediamenti (LAPEI) dell’Università di Firenze
Da anni mi occupo di Piani dei Bambini e delle Bambine e di laboratori territoriali con le scuole nell’ambito dell’attività di ricerca-azione svolta dal LAPEI.

Di recente abbiamo condotto un’esperienza molto positiva, durata tre anni, con l’Assessorato alla Pubblica Istruzione del Comune di Firenze e con dieci scuole del Quartiere 4. Per quanto riguarda l’esito della nostra esperienza, e di quella di molte altre persone che negli ultimi anni si sono occupati di città sostenibile dei bambini e delle bambine, è giunto il momento di fare una valutazione e un salto di qualità. Non è vero che la Città dei Bambini va bene per tutti, perchè crea conflitto.

All’inizio lo slogan e le politiche di immagine avevano dato i loro frutti, perché occuparsi di come dovrebbe funzionare ed essere progettata una città a misura di bambino dava un certo lustro alle politiche. Ma poi sono emersi i conflitti sull’uso dello spazio pubblico. Alcuni esempi:
- gli spazi autocostruiti dai bambini configgono con le leggi e le normative che regolano l’uso degli spazi pubblici, mentre i bambini chiedono che ci sia la possibilità di manipolare lo spazio;
- i bambini vogliono acqua per i loro giochi e per abbellire i luoghi, ma l’acqua nello spazio pubblico delle nostre città è negata (fontane chiuse, vasche sporche o inaccessibili, torrenti e fiumi inquinati, ecc.);
- le strade urbane non sono fatte per essere usate dai bambini che vanno a scuola, sono piene di ostacoli e pericoli.

Invece i bambini chiedono autonomia, e vogliono andare a scuola da soli su tracciati piacevoli e sicuri da percorrere.
Allora dobbiamo iniziare a ripensare le priorità. Quando, ad esempio, parliamo di grandi opere pubbliche, quello che chiedono i bambini è l’ultimo anello di un processo decisionale che investe molti soldi per grandi interventi e lascia le briciole per progetti che rendono sicuro l’attraversamento di una strada.
I bambini chiedono un margine di rischio e trasgressione per crescere, vogliono che gli sia riconosciuta responsabilità e libertà di movimento, invece sono iperprotetti e ipercontrollati e costretti a vivere secondo schemi e regole di comportamento a loro estranee.

Allora ci dobbiamo chiedere in che direzione andiamo, che città vogliamo, se davvero vogliamo una città a misura di bambino e di tutti quei soggetti deboli che vogliamo includere nei processi decisionali.

Giovanni Allegretti
Università di Firenze - Rete del Nuovo Municipio
Ascoltando gli interventi che mi hanno preceduto ho notato l’emergere di un elemento positivo, quello della lentezza, di un percorso che si propone di lavorare senza fretta per la necessità di ascoltare, riconoscere e valutare con calma le esperienze che si svolgono sui territori.


In base alla mia esperienza, penso sia importante guardare all’estero per vedere cosa succede quando si legifera in tema di partecipazione. Dall’esperienza dei Bilanci Partecipativi in America Latina si può trarre una riflessione sul fatto che le leggi possono indurre processi fittizi, che nascono per rispondere agli obblighi normativi, ma che in realtà non sono sostenuti dalla reale volontà politica di chi li promuove. Per il lavoro di costruzione della legge è importante, quindi, affiancare al processo di autoriconoscimento delle esperienze di partecipazione in Toscana anche una riflessione e un confronto con altre realtà che stanno già sperimentando esperienze di partecipazione indotte per legge.

I Bilanci Partecipativi sono un caso interessante perché riguardano le forme ordinarie di governo, come diceva il presidente Martini, e le politiche strutturali che si ridefiniscono di anno in anno. Ma parlare solo di bilanci in un’epoca in cui i bilanci si stanno riducendo progressivamente può rendere la partecipazione inefficace a livello decisionale.
Sta per partire in Toscana un’esperienza interessante a cui la Regione ha partecipato con un finanziamento aggiuntivo fondamentale, perché il Ministero, che aveva emesso un bando sulla e-democracy, ha distribuito i pochi fondi disponibili ad un numero di città superiore a quello inizialmente previsto, con il risultato che molti progetti non sono stati portati a termine perché le risorse erano insufficienti.

La Regione Toscana è intervenuta perché il progetto fosse portato comunque avanti. Si tratta di un programma di Bilancio Partecipativo che riguarda circa 30 enti locali delle Comunità Montane della Toscana L’idea è quella di partire dall’e-democracy, ma di avviare, al contempo, anche processi d’incontro fisico, diretto con i cittadini, utilizzando gli stessi fondi. Le istituzioni che hanno risposto ai bandi si sono impegnate formalmente a fare un passo indietro per dare capacità decisionale anche ai cittadini su alcune decisioni di bilancio.
Bisogna parlare, però, anche della riorganizzazione delle strutture di governo, altrimenti il processo diventa schizofrenico e le decisioni prese attraverso la partecipazione non trovano strutture amministrative adatte alla loro implementazione.

Negli ultimi mesi in Emilia Romagna sono partiti 6 esperienze di Bilancio Partecipativo, forse perché già da tempo in quella Regione si fanno interessanti Bilanci Sociali, che hanno la caratteristica di non essere divisi per settori d’intervento, ma bensì composti e articolati secondo i target delle politiche (i bambini, gli anziani, le donne, gli immigrati, ecc.). L’esempio è interessante perché segna il passaggio da un momento di lettura e di analisi, il Bilancio Sociale, ad un momento produttivo di costruzione di scelte collettive, il Bilancio Partecipativo.

Iolanda Romano
A proposito dell’importanza di guardare all’esterno, ricordo che il percorso di costruzione della legge regionale prevede un seminario di studi internazionale (19 maggio 2006) in cui saranno presentate alcune delle più significative esperienze e metodologie di partecipazione realizzate all’estero.

Claudio Martini
Presidente della Regione Toscana
Voglio segnare con la mia presenza a questa assemblea il valore che l’intera Giunta Regionale dà a questo percorso che ci porterà alla stesura delle legge.
Vorrei sottolineare alcuni caratteri importanti del lavoro che inizia oggi:
- non sarà una legge facile, perché intorno al tema della partecipazione si concentrano molte questioni, che riguardano solo per alcuni aspetti problemi di natura procedurale, perché occorre considerare anche l’importanza dei contenuti delle scelte.

I due temi non sono separabili, bisogna avviare questo rapporto con un’apertura dialettica che metta in relazione i diversi aspetti. Immagino un percorso non agevole perché la materia di per sé è molto complessa e credo che già stendere l’indice dell’articolato di legge non sarà facile. Qualcuno ha detto che non si può ordinare la partecipazione per decreto, ma credo sia giusto definire un quadro normativo che incentivi, faciliti, dia dignità alla partecipazione. Credo che la Toscana sia ad un livello avanzato della partecipazione, anche se non intendo nascondere i limiti, i ritardi e le contraddizioni, che qualcuno ha fatto notare stamattina;
- questo percorso di un anno è un impegno generale, e non settoriale, che riguarda tutto il nostro impianto programmatico, perché la partecipazione implica una diversa forma di manifestarsi del governo pubblico.

Quindi occorre attivare un percorso partecipato su tutte le leggi (es. energia). L’impegno della Regione in questo senso sarà di carattere generale e integrato, teso a operare un salto di qualità nel livello di partecipazione.
Quali sono le due questioni fondamentali che emergono attualmente dal nostro lavoro? Da un lato la crisi economica, il bisogno di rilanciare lo sviluppo (crisi aziendali, chiusura di fabbriche, ecc.), e dall’altro la tenuta e la coesione sociale, il rischio di frammentazione.

Persino sulle questioni ambientali ci si trova oggi a ragionare secondo questa doppia declinazione. Questi problemi si pongono in maniera così acuta che una spinta inerziale alla quale assisto è il bisogno di decisioni rapide, su investimenti, incentivi, piani economici. ‘Prendiamoci tempo, ma non perdiamo tempo’, ci ricorda spesso l’assessore Fragai in Giunta Regionale, ed è giusto, perché dobbiamo stare attenti che la fretta nel prendere le decisioni non produca un ulteriore scollamento tra politica e cittadini.

Di fronte alla spinta verso il decisionismo avverto il bisogno di efficacia ma anche di qualità e sostanza, e considero la partecipazione un arricchimento formale e sostanziale, non retorico. Per la Toscana è un punto importante di lavoro. Abbiamo attivato un laboratorio sui temi della riforma della democrazia (nuova legge elettorale, nuovo Statuto) che ha suscitato molto dibattito, molti apprezzamenti e molte critiche. Ma una volta che è stata aperta questa fase non possiamo lasciarla in sospeso, non si possono enunciare principi senza poi fare avanzamenti concreti.

Dobbiamo costruire circuiti virtuosi intorno al tema della partecipazione, dobbiamo mettere in relazione il protagonismo dei cittadini con altri valori, perché la partecipazione non è un tema isolato, è un valore fondamentale in sé ma anche in relazione ad altri valori. Dobbiamo stare attenti, nella scrittura della legge, a creare questi circuiti virtuosi. Ad esempio, il rapporto tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa è un tema forte e non tutti siamo d’accordo a livello istituzionale.

Esistono poi due polarizzazioni in questo dibattito: da un lato una parte delle istituzioni considerano la democrazia partecipativa come un elemento accessorio e non indispensabile per la vera democrazia, quella rappresentativa; dall’altro una parte della società civile e dei movimenti pensa che l’unica forma di democrazia possibile sia quella partecipativa. Altro tema difficile è quello del rapporto tra partecipazione e decisione, partecipazione e responsabilità; sicuramente siamo difettosi sul coinvolgimento dei cittadini, molte critiche ci sono state mosse, anche in questa sede.

Anche sulla velocità della decisione, dobbiamo evitare il rischio di ricadere nei due estremi opposti, da una parte decisioni in stanze chiuse e dall’altra percorsi partecipativi che non portano da nessuna parte. Bisogna anche ammettere che di solito mettiamo insieme i due aspetti negativi, discutiamo in pochi e non riusciamo comunque ad arrivare ad una decisione. Il rapporto tra partecipazione e decisione è molto importante, perché la democrazia ha bisogno di risultati concreti, altrimenti si corrode.


Altro circuito virtuoso da creare è quello del rapporto tra partecipazione settoriale e temi più generali. Chi decide di partecipare per opporsi alla localizzazione di una discarica, ad esempio, si deve rendere conto che la soggettività della lotta deve entrare in relazione con una visione più generale. La voce particolare, che dobbiamo senz’altro valorizzare, deve confluire in una visione complessiva. Questi sono i tre circuiti virtuosi su cui si articola la grande sfida della rinascita della politica, del cambiamento delle istituzioni, perché l’interesse generale ha bisogno di partecipazione.

Iolanda Romano
Si possono mettere in evidenza alcuni nodi tematici emersi dagli interventi:
- accessibilità della partecipazione (informazioni, linguaggio, luoghi, orari, modalità organizzative, ecc.);
- rapporto con la struttura amministrativa e gli organi più informali della partecipazione;
- come una legge regionale può trattare i conflitti.

Luisa Petrucci
Consiglio delle Donne del Comune di Firenze
Il mio intervento è frutto anche dei lavori di un seminario sul Bilancio di Genere, organizzato il mese scorso dalla Rete del Nuovo Municipio, il Comune di Empoli e il Consiglio delle Donne di Firenze.

Siamo convinte che in questo percorso di costruzione della legge si deve tenere conto di nuovi strumenti volti a introdurre, in prospettiva, un’ottica di genere nei governi locali (Commissioni Pari Opportunità, Bilanci di Genere, Consigli delle Donne), perché quando si parla di democrazia si parla di una cosa declinata al maschile e si sente la mancanza di un approccio di genere. Anche per quanto riguarda il documento alla base di questa assemblea, che intende avviare un processo di profondo mutamento della situazione attuale, dobbiamo rimarcare l’assenza di un’ottica di genere.

Le donne sono molto sottorappresentate nelle istituzioni e nei luoghi decisionali. Si veda, a questo proposito, il sito internet del Ministero per le Pari Opportunità: l’Italia è, rispetto all’Europa, al penultimo posto per quanto riguarda la presenza delle donne in Parlamento, dopo di noi c’è solo la Grecia. Si tratta, allora, di valorizzare la partecipazione delle donne alla vita pubblica e alle decisioni che riguardano la collettività, ma anche di valorizzare i luoghi dove le donne sono più presenti, come le associazioni e il volontariato.

Si tratta di partire dall’esistente per trovare strumenti e occasioni per un crescita reale della partecipazione, tendendo conto delle istanze dei movimenti femminili e femministi che si esprimono nelle diverse realtà territoriali.
Secondo noi, gli assi intorno a cui si dovrebbe sviluppare un nuovo modo di governare sono il confronto, la condivisione, lo scambio di saperi e competenze, che sono radicati nelle pratiche e nel pensiero delle donne. Le banche del tempo, ad esempio, dimostrano come sia possibile creare socialità e trovare modi alternativi per costruire nuovi modelli di economia etica e solidale.


Si è parlato oggi di Bilanci Sociali e Bilanci Partecipativi, ma non di Bilanci di Genere, che dovrebbero essere invece utilizzati dai governi locali per diminuire le disuguaglianze; stiamo cercando di introdurli in Toscana, e per questo si è formato a Firenze un gruppo di lavoro, formato da funzionari dell’Assessorato al Bilancio e da esponenti del Consiglio delle Donne. I Bilanci di Genere sono più complessi di un insieme di provvedimenti a favore delle donne. Gli obiettivi sono di dare trasparenza, consapevolezza, equità ed efficienza ai processi sociali, al fine di smascherare l’apparente neutralità dei provvedimenti di politica economica e dei loro effetti sulla vita concreta dei cittadini.

Occorre riconoscere la complementarità e l’interdipendenza dei due sottosistemi di ordine economico, il lavoro retribuito e il lavoro di cura e riproduzione, non retribuito e svolto in maggior parte dalle donne. Non tenere conto degli effetti di un dato provvedimento di politica economica sull’economia non pagata, può comprometterne seriamente l’efficienza e condurre a risultati non desiderati. Se invece se ne tiene conto, e si adottano le contromisure necessarie, i benefici ricadranno non solo sulle donne, ma sull’intera comunità.


È necessario promuovere un cambiamento di mentalità nelle pubbliche amministrazioni, verso un’attitudine a mettersi in gioco, a guardarsi dentro per cominciare ad applicare alla propria struttura gli strumenti di un percorso partecipativo e di pari opportunità. Non dimentichiamo poi che alla Conferenza Mondiale delle Donne a Pechino si è dichiarato che ‘i diritti delle donne sono diritti umani’, e che la condivisione del potere ed una maggiore uguaglianza tra uomini e donne sono prerequisiti politici, sociali ed economici per uno sviluppo sostenibile, e si è affermata la necessità di adottare una strategia di mainstreaming per far progredire la parità tra donne e uomini.
Bisogna tener conto di tutti questi elementi nel processo di costruzione della legge.

Lucia Franchini
Vicepresidente della Commissione Speciale per gli adempimenti statutari e per il nuovo Regolamento interno del Consiglio Regionale
Lo Statuto contiene elementi di grande interesse sulla partecipazione, non solo nelle finalità ma anche negli strumenti.

Il Consiglio ha votato all’unanimità questo Statuto, quindi l’orientamento e i contenuti vanno al di là dell’appartenenza politica. Partecipazione è dialogo non gerarchico tra diversi soggetti e questo presupposto deve essere valido anche per la democrazia rappresentativa. C’è molta letteratura sulla partecipazione femminile alla vita pubblica, ma nella pratica questa partecipazione non si realizza. Occorre dare spazio e far crescere la pari dignità di genere, e questo problema si ritrova anche nel mondo dell’associazionismo, per quanto riguarda i ruoli direttivi e di rappresentanza.

Ha ragione il presidente Martini quando dice che la partecipazione deve essere trasversale e investire tutti i settori della vita istituzionale. Quello della partecipazione è un problema culturale, che riguarda il senso civico e della cosa pubblica. Non è immaginabile formare organi rappresentativi senza una buona percentuale di presenza femminile. Credo che il problema centrale sia la mancanza di una cultura individuale della partecipazione, del senso civico e del senso della cosa pubblica.
Le politiche regionali tendono a valorizzare e incentivare le iniziative locali, valorizzando le autonomie funzionali.

Il Consiglio delle Autonomie Locali, istituito con la legge regionale n. 36/2000, è l’organo di rappresentanza istituzionale delle Province, dei Comuni e delle Comunità Montane presso il Consiglio Regionale della Toscana e l’art. 61 del nuovo Statuto prevede la creazione della Conferenza Permanente delle Autonomie Sociali composta da associazioni, organizzazioni sindacali, volontariato sociale.
Si farà una legge apposta per istituire questo organismo o sarà inserito nella legge regionale sulla partecipazione? La Conferenza, secondo lo Statuto, deve essere presente nel Consiglio, per esprimere proposte e pareri per quanto riguarda la formazione degli atti di programmazione economica, sociale e territoriale; gode delle risorse necessarie allo svolgimento dei compiti ad essa attribuiti ed è convocata anche per verificare gli esiti delle politiche regionali.

Vorrei sottolineare che nel momento in cui si è dovuto decidere di come doveva essere costituita questa Conferenza Permanente delle Autonomie Sociali si è stati molto attenti a non sovrapporre le funzioni e le competenze del Consiglio Regionale con quelle del nuovo istituto. Le funzioni dei Consigli Comunali, Provinciali e Regionali devono essere rafforzati, perché la loro effettiva capacità di funzionamento è già un momento di partecipazione importante, anche se di tipo rappresentativo.

Alessio Rivola
Agricoltore biologico, Foro Contadino-Altragricoltura
Questo percorso di costruzione della legge parte in modo sbagliato: si organizza un’assemblea sulla partecipazione alle 9.30 di un giorno lavorativo.

Così si impedisce al 90% delle persone di partecipare. Io stesso ho dovuto rinunciare ad una giornata lavorativa per essere presente.
Vorrei far presente che negli ultimi tempi gli enti pubblici della Toscana, dalla Regione al Comune di Firenze, non si siano affatto occupati della partecipazione attiva dei cittadini, basti pensare alle varie privatizzazioni in atto dei beni pubblici: acqua, case popolari, area di S. Salvi, Centrale del Latte, ecc.
Nello specifico di Publiacqua e della Centrale del Latte, i comitati spontanei hanno raccolto centinaia di firme tramite petizioni contro questa ipotesi, ma le cose sono andate avanti ugualmente.

Tre anni fa, ad un dibattito pubblico sull’acqua che si tenne a Scandicci, alla mia domanda ad Amos Cecchi, sul perché si definisce l’acqua un bene primario per i popoli del Terzo Mondo mentre da noi si privatizza, mi sentii rispondere, con una battuta, che l’acquedotto era stato comprato dal ‘compagno’ Veltroni dell’Acea di Roma (società a cui appartiene anche la multinazionale francese Lyonnaise dex aux). Non mi sembra che ci siano stati comitati favorevoli a queste privatizzazioni.

Per quanto riguarda le questioni agricole e di filiera, il recupero delle terre abbandonate e degli usi civici, siamo ben lontani da rispettare le esigenze di chi è interessato a questi problemi. La Cooperativa Eughenia, ad esempio, che coltivava terre abbandonate in Maremma, è stata sfrattata senza che ci fosse nessun interessamento reale da parte degli enti pubblici e adesso i 970 ettari che venivano utilizzati per allevare bestiame con metodo biologico sono lasciati nuovamente all’abbandono.

Altre piccole realtà agricole, come l’azienda Le Rose dell’Impruneta e l’Alpha- Omega di Firenze, sono a rischio di sfratto o di ridimensionamento per utilizzare i terreni a non si sa quali scopi di ‘valorizzazione’. In Toscana chi lavora la terra ha meno diritti di chi ne è solo proprietario e intende solo speculare su di essa: costruire edifici, prendere i finanziamenti per far finta di coltivare, ecc. Altro caso esemplare è quello della Valle Campanara a Palazzuolo sul Senio, dove c’è il rischio di veder sgomberate le persone che hanno occupato terre e case abbandonate, molte delle quali autorecuperate dagli abitanti senza nessuna spesa da parte delle autorità preposte (Demanio Regionale) e della comunità.


Mi auguro, ma ne dubito, che questa proposta di legge regionale sia veramente il primo passo per far sì che gli amministratori ascoltino le richieste dei cittadini (almeno quelli che fanno sentire la loro voce, anziché tacere) e che la cosa si dimostri più seria del fantomatico Assessorato alla Partecipazione, istituito poco più di un anno fa dal Comune di Firenze.
Spero infine che le politiche agricole regionali si dirigano realmente verso il sostegno di un’agricoltura rispettosa dell’ambiente, in particolare di quella veramente biologica, e il recupero delle aree agricole abbandonate.

Faccio una breve proposta rispetto al percorso di costruzione della legge in riferimento al documento della Regione, dove si parla di ‘consultare soltanto o dare vincolatività a ciò che emerge’: direi certamente la seconda, altrimenti è inutile parlare di partecipazione. Per concludere, penso che la vera democrazia partecipativa sia quella delle comunità zapatiste del Chiapas, e quella dei piqueteros dei barrios argentini.

Fabio Ferroni
Responsabile dell’Ufficio Sistema Integrato delle Politiche per la Sicurezza e la Partecipazione del Comune di Livorno
Nel luglio scorso, con un’assemblea pubblica come questa, abbiamo avviato la costruzione di processi partecipativi nel Comune di Livorno.

Uno dei percorsi più strutturati che siamo riusciti ad attivare è quello della sicurezza urbana partecipata, che ha coinvolto i cittadini, le associazioni, il volontariato e le scuole nel Progetto Città Sicura. Il progetto è incentrato sul ruolo delle Circoscrizioni, in quanto organismi di decentramento amministrativo radicati nel territorio e in diretto contatto con le associazioni e le organizzazioni di volontariato sociale, sia nella fase di analisi delle problematiche che riguardano la sicurezza urbana, sia nella fase di elaborazione degli interventi progettuali.

L’esperienza ha un anno di vita e ci sembra stia funzionando.
Pensiamo che lavorare ad un’idea di legge regionale sulla partecipazione sia molto interessante, anche per affrontere alcuni nodi problematici già emersi oggi - per i quali non ci sono, al momento, soluzioni - come quello della contraddizione che riguarda tutti coloro che vogliono attivare percorsi di partecipazione efficaci che diano risultati concreti. Tale contraddizione si esprime nel rapporto problematico tra l’esigenza di strutturare i percorsi partecipativi, attraverso tappe, fasi e forme di organizzazione quali forum permanenti e consulte tematiche, e il rischio di rendere queste procedure troppo burocratiche e svuotate di efficacia per l’eccessiva formalizzazione dei processi e degli istituti.


Al momento non saprei dire quale sia il modo migliore per far fronte a questi problemi, ma come amministrazione comunale di Livorno parteciperemo molto volentieri al percorso di formazione di questa legge, e siamo disponibili a collaborare attivamente alle attività previste in questo anno di lavoro.

Iolanda Romano
È il momento di sottolineare alcuni temi di rilievo contenuti negli interventi:
- forte bisogno di ascolto da parte dei cittadini;
- maggiore attenzione alle politiche di genere;
- stimolare la crescita di senso civico;
- tutela attiva dei beni pubblici;
- effettività delle decisioni.

Cristina Bevilacqua
Assessore alla Partecipazione del Comune di Firenze
Credo che le ragioni che hanno portato a voler fare questa legge siano la necessità di ampliare gli spazi di democrazia, di rinnovare costantemente il rapporto con la società - come impegno delle istituzioni chiamate a svolgere un ruolo pubblico di responsabilità - e di promuovere, attraverso la partecipazione, un modello di coesione e inclusione sociale che induca a realizzare scelte con un grado di condivisione molto alto.

Esiste la necessità di compiere un salto di qualità nelle politiche di partecipazione, sia attraverso la legge, sia con le esperienze che si possono mettere da subito in campo, anche in attesa della legge stessa. Occorre passare all’azione e, come Comune di Firenze, stiamo provando a fare questo percorso con le iniziative di partecipazione dell’ultimo anno e mezzo: laboratori di progettazione partecipata sulle piazze, laboratorio sul centro storico, organismi di partecipazione della Società della Salute, Piano d’Azione Locale sull’ambiente dell’Agenda 21, Forum per il Piano Strutturale.

Da tali esperienze abbiamo tratto alcune osservazioni generali sul tema della partecipazione:
- l’informazione è un elemento essenziale per assumere posizioni consapevoli, e deve essere ampia, pluralista e neutrale;
- è necessario chiarire fin dall’inizio compiti, regole, modalità e poteri all’interno dei processi partecipativi, per non generare contrapposizioni inutili con gli organismi della democrazia rappresentativa;
- i percorsi di partecipazione hanno maggiore forza se sono ‘luogo di tutti’, in cui tutti i soggetti, forti e deboli, possano riconoscersi;
- il Consiglio Comunale, i Quartieri e la Giunta hanno lavorato insieme per costruire qualcosa di veramente utile e come garanzia di efficacia per la partecipazione della cittadinanza;
- abbiamo il problema di andare oltre le sperimentazioni e trovare strumenti di partecipazione cogenti che investano statuti e regolamenti e che riguardino i piani e programmi che i vari enti approvano;
- occorre andare oltre la discrezionalità degli organi politici e assicurare agli esiti della partecipazione una continuità e delle conseguenze che vadano oltre il processo stesso.
Condivido l’idea di fare una legge regionale sulla partecipazione e credo che le esperienze delle amministrazioni locali siano utili per la sua costruzione.

La legge potrebbe avere tre compiti:
- garantire un coordinamento permanente con i Comuni;
- introdurre strumenti di partecipazione anche nell’attività istituzionale della Regione;
- trovare un quadro disciplinare che individui alcuni principi che valgono anche per le amministrazioni locali e dare indirizzi utili per fare dei passi avanti.


Giampaolo Pellegrino
Comitato promotore della Legge Regionale di iniziativa popolare per la ripubblicizzazione del servizio idrico in Toscana.
Nell’ambito delle diverse modalità di partecipazione si possono individuare due versanti generali: la gestione di ciò che già esiste e il progetto di interventi per il futuro.

La nostra proposta di legge di iniziativa popolare fa parte del primo caso. Per avere un istituto partecipativo occorre qualcosa a cui poter partecipare. Noi pensiamo che può essere partecipativo tutto ciò che non ricade nel diritto privato, che per sua natura è un diritto escludente. Uno dei motivi che ci ha spinto ad elaborare questa proposta di legge sulla ripubblicizzazione dell’acqua è che i nostri amministratori hanno sempre sostenuto che il controllo del servizio è pubblico. Alcuni documenti che si trovano sul nostro sito (www.leggepopolareacqua.it) fanno riferimento ad uno studio della Facoltà di Economia di Pavia in cui si analizzano gli statuti parasociali di tutte le società che gestiscono il servizio idrico in Italia, da cui risulta che non è possibile per l’ente pubblico, socio di maggioranza, prendere decisioni senza il consenso del socio di minoranza privato.

In Toscana, la maggioranza del socio di minoranza è costituita da Acea, un’altra società pubblica, soggetta agli stessi meccanismi. Abbiamo quindi una sostanziale perdita di potere del pubblico, che svilisce le possibilità di partecipazione. Abbiamo inoltre riscontrato che è molto difficile parlare di partecipazione, anche per quanto riguarda il semplice accesso alle informazioni. Il Comitato per la Relazione al Parlamento sullo stato del servizio idrico, ha potuto reperire dati e informazioni solo su 19 delle 57 società a cui è stata affidata la gestione del servizio stesso.

La nostra proposta di legge, oltre a ripubblicizzare il servizio, configura una forma partecipativa (vedi art. 9 - Gestione partecipativa del servizio idrico integrato) che ricalca nei contenuti il documento preparatorio di questa assemblea, raccordando democrazia rappresentativa e partecipativa, perché lascia la decisione finale ai rappresentanti eletti, ma istituisce un processo partecipativo attraverso l’attività di organi elettivi che monitorizzano e hanno il diritto di accesso all’informazione; in base alle informazioni istituiscono assemblee per esaminare le decisioni delle amministrazioni, che possono essere rimandate alla discussione.

Quindi non si tolgono prerogative alle istituzioni, ma si dà la possibilità ai cittadini di discutere delle scelte e fare osservazioni, dopo di che la gestione della partecipazione é politica. A questo proposito vorrei citare una frase che l’assessore Fragai ha detto all’inizio, che trovo molto pericolosa: ‘per una reale partecipazione si chiede il contributo delle forze economiche e sociali organizzate’. Credo che le forze economiche organizzate vadano invece escluse da questo percorso, e quindi si abbia la possibilità di fare una legge che prevede il conflitto d’interessi.
A proposito dell’importanza di guardare a esperienze straniere, voglio citare il caso dell’Uruguay, dove, dopo una rivolta dovuta a gestioni privatistiche, è stato inserito nella Costituzione non solo che la proprietà dell’acqua è bene comune, ma anche che la gestione del servizio è bene comune.

Purtroppo ho l’impressione che, mentre si discute di partecipazione, in realtà se ne svuota la sostanza, non solo a livello nazionale, ma anche internazionale: il Trattato di Maastricht, la Costituzione Europea, gli Istituti Monetari della BCE e infine la Direttiva Bolkestein, che riguarda la materia dei servizi, svuotano anche a livello locale questa possibilità. Quindi a monte di qualunque tipo di partecipazione ci sono scelte di politica generale secondo me molto carenti in questo momento.

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