Parco minerario di Gavorrano (Gr): l'inaugurazione sabato 19 luglio

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
17 luglio 2003 07:10
Parco minerario di Gavorrano (Gr): l'inaugurazione sabato 19 luglio

Alle ore ore 19,00 in Piazzale "ex Bagnetti", al Centro di accoglienza e Museo Minerario Parco delle Rocce (percorso in galleria) interverranno: Claudio Martini Presidente della Giunta Regionale Toscana, Hubert Corsi Presidente del Comitato di gestione del Parco Tecnologico e Archeologico delle Colline Metallifere Grossetane, Alessandro Fabbrizzi Sindaco di Gavorrano.
Sono previste visite guidate al Museo Minerario ed alla miniera.

L’attività mineraria a Gavorrano:una storia lunga quasi un secolo
La scoperta dei giacimenti piritici di Gavorrano si deve ad un ex garibaldino di origine gavorranese.

Nella primavera del 1898 l’allora cinquantenne Francesco Alberti, che aveva qualche cognizione sulla natura della pirite grazie alla familiarità con il geologo e mineralogo di Massa Marittima Bernardino Lotti, aiutato da tre compaesani, aprì una galleria sul fianco ovest dello sperone roccioso su cui sorge il paese, proprio accanto alla fonte vecchia. Dopo aver lavorato per una decina di metri in uno strato superficiale di materiale ferroso detto anche “brucione” in rocce disfatte, gli improvvisati minatori penetrarono nella parte apicale del giacimento di minerale lucentissimo, cristallino e friabile che si prestava facilmente all’escavazione.

Grazie alla mediazione del Lotti la ditta “Guido Praga” di Roma si interessò alla scoperta e poco dopo dette il via ai lavori di coltivazione della miniera di Gavorrano. Dopo qualche anno il Praga cedette l’impresa alla società “Unione Piriti”, finché nel 1907 la miniera passò alla società Montecatini. Nel decimo anniversario della sua apertura arrivò a raggiungere le 24.000 tonnellate annue di minerale estratto. Nel 1909 entrò in produzione la sezione di Ravi e, vent’anni dopo, la sezione di Rigoloccio.

Nel 1930 la produzione complessiva annua del complesso dei cantieri del gavorranese era salita a quota 300.000 tonnellate senza considerare la miniera di Ravi, gestita dalla società “Marchi”. Nei primi tempi il minerale veniva trasportato alla ferrovia con carri a cavalli, ma nel 1912 gli impianti di frantumazione, nei pressi del pozzo, furono collegati con una teleferica di 5,8 km alla stazione di Scarlino. Essa nel 1919 fu prolungata fino allo scalo marittimo di Portiglioni, distante 9 km dalla stazione di Scarlino, per la spedizione della pirite via mare.

Anche le sezioni di Ravi Valmaggiore e di Rigoloccio furono subito collegate alla miniera principale, dove il materiale estratto da tutti i pozzi della zona (esclusi quelli di Ravi della società Marchi) subiva la frantumazione e il lavaggio. La società Marchi seguì ben presto l’esempio della società Montecatini e qualche anno dopo collegò la sua miniera con la stazione di Gavorrano mediante teleferica. L’inizio dei lavori nel sottosuolo della miniera di Gavorrano aveva avuto luogo a quota 215 metri ed essi si svolsero per diversi anni in zone non lontane dalla superficie.

Man mano che si esaurivano le parti più alte del giacimento i lavori procedevano verso il basso. Si dovettero scavare pozzi, prima il pozzo Vecchio, poi il Pozzo Roma (1917), il Pozzo Impero, il Pozzo Vittorio Veneto ed il Pozzo Valsecchi, oltre ai pozzi delle sezioni, per l’estrazione del minerale, per l’areazione e per i servizi. Il periodo che va fino al 1950 circa è caratterizzato dal fatto che tutti i lavori venivano effettuati a mano. Con gli anni ’50 ebbe inizio la progressiva meccanizzazione delle attività e lo sviluppo dei processi di produzione.

Verso il 1950 le miniere di pirite della Maremma entrarono in crisi a causa della concorrenza delle piriti cipriote, russe e spagnole. La società Montecatini per cercare di risolvere in modo radicale la situazione di crisi nel 1961 iniziò in località Casone di Scarlino la costruzione di uno stabilimento, entrato in attività nel 1962, per la produzione dell’acido solforico e delle “pellets”, pallottole di minerale di ferro ricavate dalle ceneri residue dell’arrostimento della pirite e adatte alla fusione negli altoforni.

E’ di quegli anni l’acquisizione da parte della Montecatini del pacchetto azionario della società Marchi i cui bacini estrattivi a Ravi vennero unificati come sezione distaccata della miniera di Gavorrano. Lo sfruttamento della miniera di Gavorrano continuò tranquillamente fino al 1974 quando l’aumento dei prezzi internazionali dello zolfo e della pirite importata ne rese più difficoltoso il collocamento sul mercato. Alla fine degli anni settanta fu messa in atto una progressiva riduzione della produzione e della manodopera, il preludio della fine dell’attività mineraria.

Nel gennaio del 1981 una grossa frana interna velocizzò ulteriormente questo processo. La chiusura della miniera avvenne nel giugno di quell’anno.
Le origini del progetto del Parco Minerario
La storia del progetto del Parco Minerario Naturalistico di Gavorrano ha preso il via negli anni successivi alla chiusura delle miniere. Alla fine degli anni ‘80 gruppi ambientalisti ed associazioni locali elaborarono e discussero l’ipotesi di recuperare a fini museali gli edifici ed i siti minerari.

Il Comune di Gavorrano, fin dal 1991, ha promosso la realizzazione di tale iniziativa. La fase preparatoria alla progettazione vera e propria si è svolta quindi tra il 1990 ed il 1994-95. Successivamente è stato impostato il progetto di fattibilità del Parco, grazie al coordinamento fra il Comitato scientifico diretto dal prof. Arch. Alberto Magnaghi dell’Università di Firenze e l’Aquater. Il lavoro di progettazione è durato circa due anni. In questa fase il progetto è stato diviso in lotti e per ognuno di essi sono state indicate le possibili fonti di finanziamento e le fattibilità economico-finanziarie, tecniche e giuridiche.

Nel 1996 il lavoro progettuale è stato consegnato. Dopo la fase di progettazione il Comune di Gavorrano ha formato un Ufficio del Piano, coordinato dal punto di vista scientifico dallo stesso prof. Magnaghi con la preziosa collaborazione del prof. Massimo Preite dell’Università di Firenze, con il compito di seguire tutta la fase esecutiva del progetto, l’organizzazione del Parco e la promozione della fase gestionale di esso. I ritardi nell’erogazione dei finanziamenti provenienti dal Ministero dell’industria, dall’Unione Europea e dalla Regione Toscana hanno fatto sì che soltanto nel 1998-99 il progetto potesse entrare nella sua fase esecutiva.

I primi cantieri (Parco delle Rocce su progetto del gruppo del Prof. Pedrolli, Parco di Ravi Marchi su progetto dei gruppi di lavoro diretti dal Prof. Carmassi e dal prof. Saragosa) sono stati aperti nel 1999. Successivamente è stato aperto il cantiere per il teatro all’aperto (Ing. Focacci ed arch. Fantini). Poi è partito il cantiere per il Museo minerario nella galleria dell’ex polveriera ( progetto curato nella fase di restauro dell’area e del primo allestimento dallo studio Gabetti & Isola e per l’allestimento museale finale dall’Architetto Gabriella Maciocco).

Oggi il Parco, con i primi lotti, è realtà.

I siti del Parco Minerario, “Ravi Marchi”, come un vero sito archeologico.
Un vero e proprio sito archeologico. Così i progettisti hanno considerato il complesso minerario di Ravi Marchi, nei pressi dell’abitato di Ravi, quando si sono avvicinati ad esso. Il lungo periodo di abbandono seguito alla dismissione dell’impianto avvenuta nel 1965 aveva fatto sì che la miniera e le sue strutture esterne fossero sepolte da riempimenti di terra e nascoste da una fitta vegetazione.

Inaccessibile era la fitta rete di gallerie sotterranee. E’ stata così eseguita una vera e propria campagna di scavi. Le strutture murarie sono state consolidate. Le strutture metalliche superstiti, come ad esempio i castelli dei pozzi ed i sistemi di trasporto, sono state sottoposte ad interventi di conservazione e, ove necessario, di ripristino. Sono stati inoltre realizzati due nuovi piccoli padiglioni. Il primo, in corrispondenza dell’ingresso, ospita i servizi igienici e la centrale degli impianti; il secondo collocato al centro del grande dorr alla base della laveria nuova è stato pensato come spazio didattico preparatorio alla visita.

Gli elementi architettonici sono stati lasciati così come erano in origine. L’itinerario dei visitatori è accompagnato e reso sicuro da un sistema di scale e parapetti in metallo che non crea alcun ingombro visivo per chi osserva lo scenario di Ravi Marchi. L’area interessata dalle visite è quella di Vignaccio I. Proprio a Vignaccio, si svolse gran parte dell’attività mineraria di Ravi Marchi fino alla cessione di questa miniera alla Montecatini nel 1965. In quest’area erano localizzati gli impianti delle laverie.
La prima laveria fu costruita nel 1918-1920 e ampliata circa 5 anni dopo.

Nel 1955 iniziano i lavori per la laveria nuova. La Laveria nuova rappresenta il cuore della visita al sito. Delimitata da due snelle murature parallele di pietra, la laveria nuova ha una struttura a gradoni incisi sul fianco del monte che ospitavano ai diversi livelli i macchinari per la frantumazione e la selezione del minerale. L’unico aspetto carente dell’area è purtroppo la mancanza di accessibilità alle parti sotterranee che avrebbero messo in luce anche il metodo di coltivazione, i sistemi di ventilazione e di eduzione delle acque.
Sono, comunque, ancora perfettamente visibili due pozzi con i due castelli minerari in ferro: Vignaccio I e Vignaccio II.

Il castelletto di ferro a due gabbie e tutti gli impianti di estrazione del pozzo Vignaccio I furono costruiti nel 1949.

San Rocco, i nuovi colori dell’ex oratorio
L’ex oratorio di San Rocco è tornato a vivere. Grazie alla pittura di Alain Cancilleri e dei suoi collaboratori della Ideastudi la ex chiesa che si trova nell’area dell’omonima cava ha ritrovato il suo originario fascino. L’idea che sta alla base di questo progetto è stata quella di creare un luogo dedicato al ricordo di San Rocco e del profondo legame che da secoli unisce Gavorrano ed questo Santo.

Il Comune ha affidato al gruppo di lavoro della Ideastudio di Follonica questo lavoro. Il risultato è un’opera realizzata con la tecnica della pittura a calce che introduce in Provincia di Grosseto un modello artistico che ha prodotto opere assai interessanti in diverse aree d’Europa, quello del recupero pittorico di piccole cappelle abbandonate o ricostruite. La riscoperta ed il recupero di questa piccola ex chiesa ha per la comunità di Gavorrano un grande significato. San Rocco, la cui vicenda terrena risale al XIV sec.

, ha lasciato un segno indelebile a Gavorrano. Patrono dei pellegrini e dei viaggiatori ma anche dei selciatori e dei cavatori di pietre, non poteva che essere dedicata a lui la grande Cava che si trova a due passi dall’abitato di Gavorrano. Ma visitiamo il piccolo oratorio dopo il lavoro di Cancilleri e dei suoi colleghi. Nella parete di destra, appena entrati, troviamo raffigurate alcune scene della vita di San Rocco con, in particolare, la conversione, il pellegrinaggio, la malattia nella grotta e la guarigione di appestati.

Nella parete di sinistra è raffigurata una processione che ricorda quelle che si tenevano in passato ogni 16 agosto dalla Chiesa di Gavorrano alla cappella nella cava. Sia nella parete a destra che in quella a sinistra si trovano due “telamoni” che sorreggono simbolicamente il cielo. Ai lati dell’abside sono visibili le figure ieratiche di San Rocco e di San Giuliano patrono di Gavorrano con i relativi attributi iconografici. Nell’abside un tondo con il cielo stellato, sorretto da un “telamone”, contenente il viso grande di Cristo.

Lo stile dell’opera ha i caratteri dell’arte contemporanea ma con forti rimandi all’iconografia ed ai simboli della tradizione pittorica toscana del XIV sec.

I protagonisti del restauro
Il Comune ha affidato la realizzazione dell’opera all’Ideastudio di Follonica di Roberto Conforti. L’opera è stata realizzata da Alain Cancilleri che ha curato pure il progetto. Hanno collaborato Stefano Putrido, Eloise Balia, Tamara Zambon. Alain Cancilleri è nato a Sassuolo nel 1973.

Vive a Gavorrano. La sua formazione è orientata nel campo dell’illustrazione, della pittura e della grafica. Ha preso parte a diversi corsi di perfezionamento nel campo dell’illustrazione, tra i quali quello prestigioso di Sarmede con il maestro Jozef Wilkon. Collabora da anni con diversi studi grafici a Follonica e a Grosseto. Stefano Putrido è nato a Genova nel 1971, vive nei pressi di Scansano. Ha una lunga esperienza nel campo della decorazione a fresco e a tempera e del restauro. Tra i suoi lavori ricordiamo il restauro delle pitture murali del Palazzo Marcovaldi di Prato.

Eloise Balia è nata a S.Antioco in Sardegna. Vive a Scansano. E’ laureata presso l’Accademia delle Belle Arti di Firenze. Tamara Zombon è nata nel 1976 a Sacile in provincia di Pordenone dove attualmente risiede. Nonostante la giovane età ha già collezionato numerose esperienze nel campo del restauro. Tra le sue realizzazioni ricordiamo il restauro del ciclo di affreschi del 1512 nella chiesa di S. Marizza a Varmo, il progetto di restauro dell’affresco absidale della basilica di Aquileia, il restauro di dipinti murali del XVI sec.

al Palazzo Barbarigo alla Maddalena a Venezia.

Oratorio di San Rocco: le origini.
Il piccolo oratorio è edificato di fronte al paese ad una distanza di circa un chilometro, alle pendici del Monte Calvo, sotto la grande cava di pietra che prende il suo nome. Si presenta come una piccola cappella costruita direttamente sulla roccia. Realizzata in pietra locale ha la facciata a capanna con una piccola porta sovrastata da una finestrella. E’ ad aula unica. All’interno, un arco a tutto sesto divide le due parti.

Il pavimento è in cotto. E’ ancora presente un altare in stucco presumibilmente settecentesco con il suo tabernacolo a nicchia. Il documento che per primo cita l’oratorio è un verbale di assemblea della compagnia laicale del 1806. Nel XIX sec. l’oratorio fu annesso alla compagnia che aveva l’obbligo di celebrarvi la festa del santo con processione e Messa cantata. Rimase unito alla compagnia per molto tempo. Con l’ampliarsi dell’attività della miniera di pirite e delle sue cave per motivi di sicurezza la Curia lo cedette alla Società Montecatini.



I siti del Parco Minerario: il Centro di accoglienza.
La porta di ingresso al Parco Minerario Naturalistico si trova a poche centinaia di metri dall’abitato di Gavorrano. Il visitatore che da Bagno di Gavorrano sale su verso l’abitato di Gavorrano trova sulla sinistra l’imponente castello minerario di Pozzo Roma, un simbolo dell’epoca mineraria della zona. Poche decine di metri ancora e sulla destra, accanto al grande edificio degli “ex bagnetti” e a due passi dalla galleria di carreggio e dal castello minerario di Pozzo Impero, si trova il centro di accoglienza al parco al cui interno campioni di minerale sono esposti in teche di cristallo collocate nei quattro angoli della sala.

Spicca tra gli edifici del centro accoglienza una costruzione avveniristica, a tronco di cono. In questo spazio che introduce al museo in galleria vero e proprio è visibile un plastico dell'area mineraria di Gavorrano posizionato al centro mentre su due pannelli circolari disposti perimetralmente figurano, da un lato il passato della miniera (in diversi momenti della sua attività) dall'altro il futuro di essa come complesso ecomuseale.
Da questo luogo prendono avvio tutte le visite al Parco Minerario Naturalistico ed in particolare al museo minerario in galleria, all’area ex mineraria di Ravi Marchi, al Teatro delle Rocce.


I siti del Parco Minerario, il “Museo minerario del Parco delle Rocce”, le viscere della terra parlano della storia e della memoria della miniera di Gavorrano.
Il Museo minerario in galleria è il cuore del Parco delle Rocce. Al buio, nella roccia, sottoterra si è svolta la vita della miniera di Gavorrano, nella roccia è tornata a vivere grazie a questo museo in galleria che è testimonianza e ricordo di un mondo, quello minerario, di un popolo, quello dei minatori, di un patrimonio di umanità, solidarietà ed ingegno.

Il museo è stato realizzato in una polveriera o riservetta destinata a deposito di esplosivi e materiale detonante utilizzati nelle operazioni di abbattimento delle rocce in miniera. La riservetta, ricavata in una galleria lunga circa 150 metri, poteva contenere più di 100 kg di esplosivo, la temperatura all’interno non doveva superare i 40°C né scendere al di sotto degli 8°C ed era dotata di fornelli di ventilazione per garantire una perfetta circolazione d’aria. Seppur localizzata a distanza di sicurezza dagli edifici minerari, essa fu ubicata in prossimità della galleria di carreggio di Pozzo Impero da dove il materiale esplosivo veniva trasportato su appositi carrelli all’interno della miniera per essere impiegato nelle operazioni di abbattimento.

Il percorso di visita
Nel corso della visita al museo minerario in galleria l'osservatore ha modo di sperimentare le condizioni di vita all'interno della miniera, attraverso immagini e suoni che provengono dal passato e dalla memoria del mondo minerario.

L'allestimento della galleria come spazio museale ha permesso di realizzare un insieme di ricostruzioni rappresentative dell'arte mineraria.
Dopo la ricostruzione ambientale degli spogliati e della lampisteria (luogo dove venivano distribuite le lampade da portare in sotterraneo) si prosegue con la discesa in miniera che è stata esemplificata con la realizzazione di una gabbia simile a quella di Pozzo Impero. Le diverse fasi del cantiere minerario sono rappresentate attraverso sezioni dedicate all'attività di ricerca, alla posa degli esplosivi, alle tecniche di coltivazione e alle opere di sostegno.

Queste, realizzate con quadri in legno ed in ferro, hanno un duplice scopo: didattico, in quanto il visitatore può apprezzare dal vero come le gallerie venivano costruite, e di sicurezza in quanto assicurano la perfetta percorribilità della galleria. Un apparato mediatico formato non soltanto da pannelli esplicativi ma anche da un sistema sincronizzato di luci, immagini, e suoni provvederà ad evocare in forma sensoriale l'interno della miniera. A conclusione della visita, sarà possibile assistere ad una proiezione che ripercorre le tappe salienti della storia passata della miniera e le tappe future che preludono ad un nuovo scenario di sviluppo per il territorio delle ex miniere di Gavorrano.

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