Fabre / Scavetta / Pellegrini martedì 14 e mercoledì 15 maggio a Fabbrica Europa

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
13 maggio 2002 13:44
Fabre / Scavetta / Pellegrini martedì 14 e mercoledì 15 maggio a Fabbrica Europa

Dopo Vassiliev, Reinhild Hoffmann e Susanne Linke, a FABBRICA EUROPA arriva My movements are alone like streetdogs del maestro belga Jan Fabre. Regista, coreografo, artista visivo, Jan Fabre ci offre uno spettacolo, creato per il festival di Avignone, a metà tra il teatro e la danza, a tratti sconvolgente. L’immagine scenica al levarsi del sipario è stupefacente: una danzatrice minuta in mezzo a tre cadaveri di cani (di pezza) appesi in aria o stesi al suolo. C’è anche un quarto cane, che in seguito si rivela vivo.

Erna Omarsdottir è piccola. Sembra gentile e affettuosa. Sino a che non urla in islandese con un tono molto aspro, quasi un abbaiare: “perché avete abbandonato coloro che vi sono più cari?”. Sono i cani abbandonati durante le vacanze. Poi prosegue con una voce d’oltretomba, leggendo convulsamente qualche passaggio de La mauvaise réputation, la canzone di Brassens su quei paesani diversi dagli altri, quelli che tutti mostrano a dito. Fabre e Erna Omarsdottir hanno lavorato sul parallelo tra il cane randagio e l’artista, che deve costantemente mettersi alla prova, sopportare e alla fine essere abbandonato quando non risponde più a ciò che ci si aspetta da lui.

Come il cane abbandonato all’angolo di una strada che abbaia, la danzatrice si guarda attorno e dalla sua gola escono dei gridi sordi. I suoi movimenti esprimono la rivolta. Più avanti la protesta diventa tragica sulla musica de Le chien di Léo Ferré. Muove il bacino come in un coito, ma come un uomo nel corpo di una donna. Vengono gettati dei pacchetti di burro sulla scena. Lei fa su e giù nello spazio per raccoglierli, finché una pioggia di burro le evoca altre idee. Mangia il burro, lo morde, lo ascolta, incollandoselo all’orecchio in un gesto assurdo.

Poi va a quattro zampe sulla scena, si avvicina ai cani, cerca invano un contatto, come se volesse riportali in vita. Il paesaggio sonoro di Frank Pay consiste in un miscuglio di suoni della natura manipolati assieme a dei suoni elettronici. Tutto si immerge in un’atmosfera alienante. Il filo rosso è dato dalla canzone Chien andalou dei Pixies, tra il surf e il noise rock. A volte la canzone esplode, a volte la danzatrice canticchia qualche passaggio. Uno schermo mostra delle immagini di cani in decomposizione.

Cala una certa rassegnazione. Allora lei si trucca come per il carnevale, con un cappello e una stella filante. Agghinda i cani allo stesso modo. Verso la fine, lo spettacolo prende l’aspetto di una festa della morte, con i cani e la Omarsdottir agghindati come per il carnevale.

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